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Il vino dei Fiumi

by Francesco Aniballi

Nella cultura europea ci sono vini noti,

molto costosi, molto invecciati,

ma non bisogna dimenticare che il vino fa parte della gioia di vivere delle campagne europee.

“C’era una volta … or non c’è più” così potrebbe sintetizzarsi la storia del Vino dei Fiumi che, per molto tempo, è stato prodotto e coltivato lungo la vallata dell’alto Tronto. Ebbene si, c’era una volta! perché il vino di Grisciano, altro appellativo per connotare toponicamente il nettare alcolico, oggi non viene più prodotto dai vecchi vignaiuoli montanari. Qual era la caratteristica di questo vino coltivato al confine tra Lazio e Marche, tra la provincia di Rieti e quella di Ascoli Piceno? L’altezza sul livello del mare. Infatti i filari di viti coltivati su terrazzamenti costruiti appositamente sui crinali delle montagne, che tra l’altro donavano al paesaggio un panorama unico, erano coltivati in territorio montano quasi a mille metri.

 

Molti anziani del luogo ricordano ancora le lunghe file di viti che si snodavano fino ad Arquata del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno. Il vitigno originario che ha dato vita a questo leggendario nettare di bacco era il “Pecorino”, stesso nome del formaggio ma, naturalmente, nulla a che vedere con esso. Tuttavia sembra che il nome  derivi, dall’attività di allevamento di pecore in quelle zone era molto sviluppato. Autoctono delle zone montane appenninico - laziali, il “Pecorino” era resistente al freddo, ai cambiamenti di tempo ed alle piogge che copiosamente nel periodo autunnale ed invernale, cadevano e cadono, nelle zone dell’alto Lazio.

A volte la vendemmia dell’uva avveniva anche sotto la neve, a causa dell’inverno che arrivava troppo in fretta rispetto al passare delle stagioni: augurarsi che il vino potesse essere bevibile era una chimera. In questo caso veniva utilizzato come aceto anche se, nella maggior parte dei casi, seppur un po’ “aspro”, il vino si beveva ugualmente. Per cercare di stemperarlo era uso allungarlo con del vino cotto molto denso, cercando così di regalare un po’ di dolcezza a quella bevanda alcolica che così “misturata” diventava spesso vino da dessert.

 

Generalmente, quando le stagioni seguivano il loro naturale alternarsi, la vendemmia iniziava a fine ottobre ed il vino era già bevibile dalla festa di San Martino: parliamo di vino ancora giovanissimo. E’ inutile ricordare quanto l’arrivo del periodo della vendemmia fosse sentito dagli abitanti. I pochi anziani che ancora ricordano quei momenti, raccontano di intensi preparativi: la pulitura delle botti, la vendemmia (vendembia come era uso dire in dialetto), il trasporto dell’uva con la tradizionale “traja” (una slitta con due pattini sui quali erano fissati assi orizzontalmente), il pestaggio con i piedi dell’uva ed il ribollire dei tini di carducciana memoria. Ogni abitazione di Grisciano aveva nelle sue cantine delle botti per immagazzinare il vino che veniva conservato per molto tempo grazie, anche questa volta, all’aggiunta di vino cotto.

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Negli ultimi anni sembra cha la produzione stia lentamente riprendendo, anche se le quantità sono notevolmente inferiori a quelle dei bei tempi nei quali tra un bicchiere di vino ed una “pagnottella” con il prosciutto tutto scorreva lentamente e si viveva felici e contenti.   

 

 

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Il vino dei fiumi, chiamato così perché la zone di produzione si trovava alla confluenza di diversi corsi d’acqua, era frizzantino, molto secco ed asprigno e si gustava fresco di cantina. Era molto leggero, infatti la sua gradazione alcolica raggiungeva a mala pena i nove gradi. Spesso nelle giornate estive era un toccasana per combattere la calura agostana ma, seppur di risibile gradazione, se bevuto in gran quantità poteva dare alla testa. Infatti nelle valli il vino era chiamato “lu fregonittu” ovvero un vino che ingannava con moltissima facilità. Lo smercio era discreto soprattutto nella zona di produzione e negli abitati vicini. Ad Amatrice, paese capoluogo, se ne smerciava parecchio e molte botteghe lo servivano anche alla mescita. Una grande quantità veniva inviata a Roma. Perché? È presto detto. Nelle campagne della Capitale e nei castelli romani veniva prodotto un vino di ottima qualità ma molto denso e pesante. Per renderlo più appetibile e gustabile da tutti, attraverso processi di alta alchimia, il vino romano veniva mescolato con il fregonittu rendendolo così decisamente avvicinabile anche da coloro non molto avvezzi al bere.

 

Nonostante queste particolarità intrinseche il vino dei Fiumi, o vino di Grisciano, al giorno d’oggi non viene più prodotto, se non in casa per uso strettamente casalingo. La filossera che colpì i vitigni verso la fine dalla seconda guerra mondiale assestò un duro colpo alla coltivazione. Il 90 per cento dei filari furono attaccati ed i viticoltori decisero di non reimpiantare nuove coltivazioni. Tuttavia la produzione continuò fino alla conclusione degli anni ’60/’70 finchè il boom economico e lo spopolamento dei paesi “uccisero” definitivamente la coltivazione del “Pecorino” autoctono. Negli ultimi anni sembra cha la produzione stia lentamente riprendendo, anche se le quantità sono notevolmente inferiori a quelle dei bei tempi nei quali tra un bicchiere di vino ed una “pagnottella” con il prosciutto tutto scorreva lentamente e si viveva felici e contenti.   

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