La caccia e l'uomo del terzo millenio
by Yorgos Vavatzianis
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Nonostante l'evoluzione della società
verso forme scollegate dalla natura,
la caccia sopravvive e fa sopravvivere
la Natura.
Nonostante i circa duecento mila anni di evoluzione della nostra specie, la nostra civiltà presenta ancora dei tratti che la accomunano a quella dell’uomo primordiale. L’esempio più emblematico è probabilmente l’attuale pratica della caccia, tematica che apre una disputa senza esclusione di colpi – anche bassi - tra opinioni favorevoli e contrarie.
Nella moderna e tecnologica civiltà occidentale c’è chi non ha dimenticato la caccia, ma ne ha solo cambiato i metodi, il fine e gli effetti: i metodi la hanno resa uno “scontro” (non voluto dalle “prede”) ad armi impari, il fine non è il sostentamento ma in molti casi un molto discutibile “godimento” a fronte di violenza su esseri senzienti, gli effetti comprendono un impatto più incisivo sulla struttura delle popolazioni degli ecosistemi naturali. È inoltre innegabile che alcuni mass media tentino – con effetti decisamente deleteri – di proporre cacciatori “estremi” come una sorta di modelli per bambini (incapaci di cogliere le subdole montature o gli eclatanti errori in materia di zoologia, come quelli nei servizi che vedono protagonista l’inglese Bear Grylls o la statunitense Melissa Bachman).
Ci sono poi gli animalisti estremi, che rispondono con agguerrite campagne mediatiche sui social network, raccolte firme, presidi ed altre iniziative spesso lontane dalla coerenza, dal seguire logiche razionali e in molti casi all’oscuro di basilari fondamenti di zoologia. Spesso è molto facile notare quanto alcuni personaggi sfruttino la sensibilità dell’opinione pubblica verso gli animali – con netta predilezione verso quelli dall’aspetto più “tenero” – con il solo fine di speculazione politica o economica.
Questi modi di affrontare il problema – che siano in buona o cattiva fede – rischiano di fare danni. La pressione sugli enti amministrativi, sollecitati a soddisfare la richiesta di norme più permissive o più restrittive, può infatti portare all’approvazione di disposizioni dannose per la conservazione ambientale, o al rifiuto di provvedimenti necessari.
In quanto fermamente convinti della necessità di vivere il territorio in modo etico, ci sembra doveroso prendere le distanze da tutte le posizioni che non cercano di raggiungere un equilibrio con esso, basate solo su emotività e poco interessate alla conoscenza, anche tecnica, dei fattori in gioco. In poche parole non si può essere in modo assoluto favorevoli o contrari all’attività venatoria, si può – e si deve – invece ragionare su come rendere questa realtà compatibile con il suo territorio ed utile per la sua protezione.
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In poche parole non si può essere in modo assoluto favorevoli o contrari all’attività venatoria, si può – e si deve – invece ragionare su come rendere questa realtà compatibile con il suo territorio ed utile per la sua protezione.
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L’utilità deriva principalmente dal fatto che gli equilibri naturali sono stati compromessi e ciò può avere conseguenze negative. Basti pensare ai gravi danni arrecati agli ecosistemi dalla diffusione di specie invasive (introdotte sia da “ambientalisti” che da “cacciatori”), ai danni alla “agricoltura biologica che tanto ci piace” legati ad aumenti delle popolazioni di ungulati selvatici, ai parassiti veicolati da animali selvatici come le volpi, il cui numero deve quindi essere mantenuto entro certe soglie.
C’è inoltre da dire che molta della conoscenza sulla fauna selvatica, indispensabile per la sua protezione, deriva proprio da osservazioni annotate nel tempo dai cacciatori. Per questo anche il cacciatore può avere la sua importanza, purché non sia qualcuno che si aggira o si apposta per distruggere, ma un guardiano, un custode rispettoso, il cui compito non è in contrasto con la tutela della biodiversità ma i stretta collaborazione con le altre figure che la difendono. Il suo compito può comportare anche l’abbattimento degli esemplari in esubero, purché ciò avvenga nel modo più indolore possibile e con la piena consapevolezza del fatto che si tratta di esseri viventi che meritano rispetto.
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