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Quando il gusto ci racconta

i paesaggi che stiamo perdendo

By Yorgos Vavatzianis

Nel corso dell'ultimo secolo sono scomparse
i tre quarti delle varietà alimentari
coltivate dall'uomo.

L’immaginario collettivo concepisce l’estinzione di specie viventi come un fenomeno legato ad apocalittiche collisioni tra corpi celesti, ormai assuefatto dagli effetti speciali del più spettacolarizzato catastrofismo hollywoodiano. Eppure, una delle più sconvolgenti perdite di biodiversità sta avvenendo proprio attualmente e possiamo accorgercene anche senza alzare lo sguardo dal nostro piatto. La FAO stima infatti che tra il 1900 ed il 2000 sia andata perduta circa il 75% della diversità delle colture.  

Possiamo definire l’alimentazione come il più antico e fedele descrittore dei progressi dell’umanità. Il nostro pasto è cambiato con la scoperta del fuoco, con l’inizio delle pratiche agricole, con le conquiste geografiche e con la rivoluzione verde. Tuttavia, citando Alessandro Manzoni, “non sempre ciò che vien dopo è progresso”. Con la spietata semplificazione del nostro ecosistema alimentare, sotto gli occhi indifferenti di una società che spesso dimentica la funzione delle radici, stiamo cancellando il volto dei nostri paesaggi, perdendo sapori e saperi, tradizioni, viaggiando verso effetti collaterali non prevedibili sulla nostra salute e lasciandoci sfuggire benefici    -anche economici-, legati al crescente business del vivere bene.   

La soluzione attualmente più gettonata consiste nella creazione di collezioni di sementi, come la Global seed Vault, in Norvegia. Pur non volendo sminuire l’importanza della “mission” di queste iniziative è opportuno sottolineare la differenza tra conservare al sicuro un tesoro e goderne nella vita di tutti i giorni. Andrebbero inoltre conservate le condizioni esterne per cui queste sementi possano servire a qualcosa.

A nulla serve, se non a lavarsi una miope coscienza, incolpare di tutto solo “le multinazionali”  (magari con in mano una lattina di Coca Cola) o criminalizzare la ricerca biotecnologica. Occorre capire dove le grandi distribuzioni, le nuove tecnologie sono di aiuto e cosa, invece, può continuare ad andare bene così, o magari va riscoperto.

 

Citando la recente controversia sulla legge 138 dell’11 Aprile 1974, che vieta in Italia l’utilizzo della polvere di latte per la produzione casearia, viene spontaneo porsi delle domande: un cibo è autentico solo in base alla natura chimica del prodotto finito, o anche in base al processo, ai luoghi, alle persone che ne hanno permesso l’esistenza? Avrebbe senso mangiare del pecorino, in un mondo in cui non esistono più pastori? Diventa sempre più necessario proteggere ciò che è autentico, permettergli di esistere non solo sotto una campana di cristallo, ma nella vita di tutti i giorni. Occorre conservare il sapere di quegli agricoltori che agiscono come custodi di un prezioso patrimonio e che rischia di svanire. D’altra parte sono proprio loro ad insegnarci che se si coltiva con cura si ottengono buoni frutti.    

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Ciò che è auspicabile è imparare a riconoscere il valore dei “cibi veri” e conservare il sapere di quegli agricoltori che agiscono come custodi di un prezioso patrimonio e che rischia di svanire.

 

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Citando la recente controversia sulla legge 138 dell’11 Aprile 1974, che vieta in Italia l’utilizzo della polvere di latte per la produzione casearia, viene spontaneo porsi delle domande: un cibo è autentico solo in base alla natura chimica del prodotto finito, o anche in base al processo, ai luoghi, alle persone che ne hanno permesso l’esistenza? Avrebbe senso mangiare del pecorino, in un mondo in cui non esistono più pastori? Diventa sempre più necessario proteggere ciò che è autentico, permettergli di esistere non solo sotto una campana di cristallo, ma nella vita di tutti i giorni. Occorre conservare il sapere di quegli agricoltori che agiscono come custodi di un prezioso patrimonio e che rischia di svanire. D’altra parte sono proprio loro ad insegnarci che se si coltiva con cura si ottengono buoni frutti.    

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